HALIT LA UMILIA, ERIM LA RIFIUTA ! MA ENDER NON SI ARRENDE E DECIDE DI… FORBIDDEN FRUIT

Una madre contro un impero. È così che comincia il nuovo, spietato capitolo di Forbidden Fruit, dove l’amore si trasforma in arma e la maternità in campo di battaglia. Ender, la donna che un tempo dominava Istanbul con la sua eleganza tagliente e il suo sorriso calcolatore, si ritrova ora a combattere contro il nemico più temibile: l’uomo che conosce ogni sua debolezza e il figlio che le volta le spalle. Dopo settimane di umiliazioni pubbliche, sussurri di scandali e manipolazioni raffinate, Halit Argun decide di infliggerle il colpo più basso, quello che non lascia cicatrici sulla pelle ma le incide nell’anima. Tutto inizia davanti alla scuola privata di Erim. Ender, chiusa nella sua macchina di lusso, osserva il ragazzo da lontano: lo vede ridere, parlare con Ilaida, quella giovane fragile che lei considera una minaccia, un’ombra che le ruba l’affetto del figlio. Il motore acceso accompagna il battito furioso del suo cuore. Le mani, impeccabilmente curate, stringono il volante fino a sbiancare le nocche. Poi, senza pensarci, scende dall’auto. Ogni suo passo risuona come una dichiarazione di guerra: tacchi che battono sull’asfalto, occhi di ghiaccio, labbra serrate. Si avvicina e, senza pronunciare una parola, afferra Erim per il braccio, lo trascina via sotto gli sguardi scandalizzati degli studenti. Ilaida tenta di reagire, la voce spezzata dal tremore e dalla rabbia, e urla che farà causa, che ha i mezzi e gli alleati giusti per vincere. Quelle parole incendiano qualcosa dentro Ender, una furia primitiva che nessuno può placare. Se c’è una causa, dietro ci deve essere lui. Halit. Sempre e solo Halit.

Non passa molto che Ender irrompe come una tempesta nella Holding Argun, quel tempio di vetro e acciaio dove Halit regna come un sovrano assoluto. I dipendenti si scansano, le segretarie abbassano lo sguardo, i suoi tacchi echeggiano nel corridoio come colpi di pistola. Quando apre la porta del suo ufficio, la tensione si taglia con un coltello. Halit la guarda, immobile, un sorrisetto sprezzante che gela il sangue. È il sorriso di chi sa già di aver vinto. “Hai plagiato mio figlio,” sputa Ender, la voce incrinata ma ferma, “gli hai riempito la testa di bugie su di me. Lo stai usando come un’arma.” Halit non si scompone. Si appoggia alla poltrona, intreccia le dita e con calma glaciale risponde: “Erim non ti vuole vedere, e non serve che lo dica io. L’ha scelto da solo.” Ogni parola è veleno distillato. È un sadico maestro nel colpire dove fa più male. Ender perde per un attimo il controllo, la voce si incrina in un grido disperato: “Tu non hai idea di cosa significhi essere madre!” Ma Halit, con un gesto che sa di crudeltà teatrale, prende il telefono, compone il numero di Erim e mette il vivavoce. L’attesa è interminabile. Poi la voce di suo figlio, distante e fredda, la condanna con una sola frase: “No, non voglio vedere la mamma.” È un taglio netto, senza esitazione. Il silenzio che segue è pesante come piombo. Halit sorride appena, si china e sussurra: “Deve essere terribile sentire una cosa così, vero?” È la vittoria perfetta. La sua. Ender resta pietrificata, gli occhi lucidi, la gola che brucia, ma non cade. Dentro di lei, qualcosa si spezza e qualcosa nasce.

Fugge da quell’ufficio come una belva ferita, la mente un vortice di rabbia e dolore. Guida senza meta, finché il caos di Istanbul si dissolve e la strada la porta verso il mare. Una spiaggia deserta, un cielo grigio, un vento che taglia la pelle come lame. Lì trova Alihan, seduto su una roccia, immerso nei suoi pensieri cupi. Lui è il suo attuale marito, ma solo di nome. Due solitudini che si sfiorano senza mai toccarsi. Ender si avvicina, gli racconta la sua sconfitta, le lacrime che non ha potuto versare davanti a Halit, la vergogna di essere stata umiliata davanti al mondo e al figlio. Ma Alihan, perso nei propri tormenti, la interrompe bruscamente: “Per favore, taci. Non voglio ascoltare.” Quelle parole sono un altro colpo, un’altra ferita. E qualcosa dentro di lei cede. Guarda il mare in tempesta e sussurra, quasi senza rendersene conto: “Vorrei uccidere Halit.” Non è una minaccia, è un desiderio nudo, crudo, nato dal dolore. Alihan la osserva con un misto di paura e curiosità, ma non risponde. Si limita a dirle che la causa per la custodia di Erim è fissata tra un mese e che, se davvero vuole combattere, deve prepararsi. Ma Ender non ascolta più. Il vento le spettina i capelli, le asciuga le lacrime e lascia emergere un nuovo volto. Quello della donna che non si arrende mai.

Dopo qualche minuto, si ricompone. La fragilità scompare, sostituita da una calma innaturale, gelida. “C’è una festa questa sera,” dice con voce piatta. “Verrà anche Halit. E noi saremo lì.” Alihan la guarda, incredulo. “Non ci penso nemmeno,” risponde, ma lei insiste, decisa, glaciale, autoritaria. “Siamo ancora marito e moglie. E io ho bisogno che tu sia al mio fianco.” È un ordine, non una richiesta. Sa che quell’apparizione pubblica sarà il primo passo della sua rinascita, una dichiarazione al mondo: Ender Argun non è finita. Quando finalmente Alihan accetta, sconfitto, lei accenna un sorriso impercettibile. Non è un sorriso di gioia, ma di promessa. Quella sera, con i riflettori puntati su di lei, con gli occhi di Istanbul addosso, Ender tornerà a essere la regina. Non una madre disperata, non una donna ferita, ma una stratega rinata dalle proprie ceneri. Ogni gesto, ogni parola, ogni sguardo sarà un messaggio per Halit: “Hai vinto una battaglia, ma la guerra è appena cominciata.”

Nel buio della notte, mentre si prepara per la festa, Ender si guarda allo specchio. Indossa un abito nero, profondo come il rancore che le brucia dentro. Si passa un rossetto rosso sulle labbra, simbolo di potere e vendetta. Le sue mani non tremano più. Il dolore è diventato forza, l’umiliazione una lama affilata. Per Halit è finita la stagione della supremazia. Lui crede di averla piegata, ma ha solo risvegliato il mostro che dormiva in lei. La leonessa ferita ora ha ritrovato i suoi artigli. E dietro quel sorriso perfetto si nasconde una promessa oscura: nessuno le porterà via suo figlio, e nessuno, nemmeno Halit Argun, dormirà più tranquillo. La guerra di Ender non conosce pietà. Non è più solo una battaglia per la custodia di Erim, ma per la sua stessa anima. E chi pensa che una madre distrutta sia debole, non ha mai visto di cosa è capace una madre in cerca di vendetta.